LA CASA FAMILIARE
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04/03/2024Il comodato è il contratto con cui una parte consegna all’altra a titolo gratuito un bene mobile o immobile affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituirlo alla scadenza del contratto se è stabilito un termine, ovvero a richiesta del comodante se un termine non è stabilito.
Cosa accade quando il bene immobile oggetto del contratto di comodato è un bene adibito a casa familiare oggetto di un provvedimento di assegnazione? Qual’è e da cosa dipende la sua durata? A chi è opponibile tale provvedimento?
Il tema specifico della casa familiare è stato innovato dal d. lgs. n. 154/2013, noto come il decreto legislativo che ha eliminato la discriminazione tra figli naturali e figli legittimi, cioè tra i figli nati fuori dal matrimonio e quelli nati in costanza di matrimonio.
All’art. 55 è disciplinata l’assegnazione e la revoca della casa coniugale in tutti i casi di separazione, divorzio, annullamento o nullità del matrimonio e procedimenti relativi a figli di coppie non coniugate.
Tutta la disciplina ruota attorno all’interesse dei figli, quale che fosse il previo stato dei genitori ora non più uniti, a mantenere il medesimo habitat domestico in cui sono nati o cresciuti. Infatti all’assegnazione – questo è il suo requisito fondante ed essenziale – non può procedersi in assenza di figli minorenni o maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti.
Di fronte a tale diritto della prole soccombono anche i diritti dei terzi.
I terzi che vedono sacrificato il proprio diritto, recessivo rispetto alla tutela dei figli della coppia, rientrano sostanzialmente in due grandi categorie:
– i terzi, ad esempio il/i genitore/i di uno dei membri della coppia genitoriale che abbia concesso in comodato la casa al/la proprio/a figlio/a, casa in cui la famiglia ha stabilito il proprio habitat domestico;
– i terzi, creditori dell’uno o dell’altro genitore, che vorrebbero far valere il loro diritto aggredendo tale bene immobile il quale costituisca l’unico bene immobile in proprietà di tale genitore;
I suddetti terzi non potranno ottenere la restituzione del bene concesso in comodato oppure non potranno aggredire tale bene per il soddisfacimento del loro diritto. Entrambi i loro diritti saranno pregiudicati di fronte ad un precedente provvedimento di assegnazione della casa familiare.
Per quanto tempo? l’art. 337 sexies c.c. prevede che il provvedimento di assegnazione sia trascrivibile ed opponibile agli eventuali terzi creditori del/i genitore/i proprietari/o della casa coniugale, ma anche in mancanza di trascrizione è loro opponibile per una durata novennale, salvo ovviamente il caso in cui il diritto di detti creditori sia stato trascritto anteriormente rispetto all’assegnazione, non venendo meno in tal caso il diritto connesso alla priorità della loro trascrizione.
Riguardo al comodato, il relativo contratto regola il bene immobile assegnato con gli stessi limiti e caratteristiche che tale contratto aveva durante la fase fisiologica della coppia.
La giurisprudenza costante afferma che il comodato avente ad oggetto un immobile destinato a casa familiare sia un comodato “a termine” anche nel caso in cui nel contratto risulti indicata una scadenza, la quale viene normalmente rinvenuta nello scopo cui il bene immobile è stato destinato, cioè quello di fare fronte alle esigenze abitative della famiglia, esigenze che non vengono meno a seguito della crisi che la colpisce e rimangono inalterate.
L’inquadramento della fattispecie nell’ambito del contratto a termine fa sì che il comodante non possa chiedere la restituzione dell’immobile coniugale quando vuole, bensì deve dimostrare di averne maturato un bisogno urgente, ad esempio se la sua situazione economica va peggiorando ( v. sentenza Cass. Civ. 17332/2018).
Anche se le parti non indicano espressamente un termine nel contratto, viene considerato esistente un termine implicito di restituzione connesso alla cessazione del soddisfacimento delle esigenze abitative familiari, le quali sopravvivono anche alla crisi, quanto a durata. Infatti il fatto che il vincolo matrimoniale o la convivenza vengano meno non incide sulla durata del comodato, considerato che il termine non può considerarsi sciolto per effetto della crisi coniugale (lo ha stabilito la cassazione a sezioni unite nella sentenza n. 20448/2014), in quanto tramite la concessione in uso alla coppia di un bene immobile si è impresso al comodato un vincolo di destinazione (c.d. comodato di scopo) alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all’uso cui il bene deve essere destinato il carattere implicito della durata del rapporto anche oltre l’eventuale crisi familiare, senza far dipendere la possibilità di cessazione del vincolo dalla esclusiva volontà del comodante.