E’ POSSIBILE L’UNA TANTUM IN SEDE DI SEPARAZIONE ?
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30/12/2024Secondo gli artt. 143 e 316 bis c.c. l’apporto paritario di entrambi i genitori alle necessità familiari e alle esigenze della prole, sul piano personale ed economico, si presume fino a prova contraria.
Ma chi è tenuto a vincere tale presunzione e a fornire la suddetta prova in caso si deduca, in una particolare fattispecie, che il citato apporto non sia stato paritario?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 29880 del 20 novembre 2024, ha esaminato il caso in cui un ex marito ha lamentato che gli fosse stato imposto l’onere di dimostrare che l’ex moglie non avesse fornito il proprio apporto alla famiglia negli anni di convivenza matrimoniale, con ciò invertendo l’onere legislativo previsto dall’art. 2697 c.c. secondo il quale ciascuna parte è tenuta a dare prova dei propri assunti.
Il ricorso del marito è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di legittimità, che ha precisato che essendo quella prevista all’art. 316 bis c.c. una presunzione di legge, è onere della prova di chi la vuole vincere dare la prova contraria e dimostrare che in una determinata fattispecie gli apporti non siano stati invece paritari.
Il marito avrebbe quindi dovuto fornire lui nel caso concreto la prova, la sola idonea a superare la presunzione, di avere provveduto in via esclusiva o quantomeno maggioritaria rispetto alla moglie alle esigenze familiari.
Precisa infatti la Corte nella indicata pronuncia che “in tema di contribuzione per i bisogni della famiglia durante il matrimonio, ciascun coniuge è tenuto a concorrere in misura proporzionale alle proprie sostanze e, a seguito della separazione, non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese così sostenute in modo differenziato”.
Gli Ermellini aggiungono anche che “il menzionato principio è, tuttavia, suscettibile di deroga tramite un accordo contrattuale tra le stesse parti, in quanto lo stesso può meglio rispecchiare le singole capacità economiche di ciascun coniuge o modulare forme di generosità spontanea tra i coniugi ed è, comunque, finalizzato al soddisfacimento delle primarie esigenze familiari e dei figli, nel rispetto dei doveri solidaristici che trovano la loro fonte nel rapporto matrimoniale”.
La Corte Suprema ha nella ordinanza n. 13366/2024 riconfermato il pieno diritto dei coniugi all’autonomia negoziale, tramite la quale possono di comune accordo derogare in modo vincolante ai doveri solidaristici che trovano la propria fonte nel coniugio, stipulando durante il matrimonio convenzioni valide ed efficaci, comunque finalizzate al soddisfacimento delle esigenze primarie della famiglia e dei figli, attraverso le quali diversamente regolare il rispettivo apporto in maniera più soddisfacente, meglio rispecchiando le singole capacità economiche di ciascuno e/o anche tenendo conto di forme di generosità spontanea degli stessi.
La Corte di Cassazione ha rilevato in tale pronuncia che un accordo intercorso inter partes tramite scambio di corrispondenza per posta elettronica precedente la separazione non era meramente organizzativo delle esigenze familiari, bensì disciplinante una vera e propria suddivisione pro-quota tra i coniugi – secondo specifiche percentuali di spettanza – di alcune spese circoscritte ad un determinato periodo temporale.
In quanto accordi che regolano i reciproci rapporti dei coniugi ai sensi dell’art. 1372 c.c. il Giudice che interpreti il contenuto del ricorso consensuale è chiamato a indagare la comune intenzione delle parti accertando se si tratti di patti essenziali o eventuali regolati in base all’autonomia negoziale delle parti, comunque legittimi e a valutare se siano più o meno meritevoli di tutela.
Con la pronuncia n. 29880/2024 la Corte consolida ancora una volta il più volte ribadito principio di non ripetibilità delle spese sostenute da un coniuge nei confronti dell’altro in quanto effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione dell’art. 143 c.c.