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13/04/2025L’EMANCIPAZIONE DEL MINORE DI ETA’
23/04/2025Il diritto della prole minorenne alla bigenitorialità è il diritto in base al quale legalmente si presume fino a prova contraria che il minore abbia il diritto di mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche se e quando questi ultimi cessino la convivenza fra loro.
Riveste pertanto importanza legislativa il fatto che entrambi i genitori siano coinvolti attivamente nella vita dei figli, indipendentemente dallo stato relazionale tra loro.
Tale diritto trova riconoscimento nell’art. 337 ter c.c.: “il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione ed assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
L’affidamento condiviso è da applicarsi preferibilmente nella normalità dei casi, mentre gli altri regimi di affidamento dei minori si applicano in casi eccezionali, quando l’affidamento condiviso, dopo una valutazione in concreto, non rispecchi l’interesse della prole.
In questi casi, assunte prima tutte le prove necessarie nel caso concreto e con provvedimento motivato., il diritto alla bigenitorialità cede il passo al preminente interesse per il minore e può venire disatteso (si vedano ad es. la pronuncia della Cassazione Civile n. 26697/2023 ove il diritto alla bigenitorialità della figlia e anche del padre sono stati sacrificati o anche la pronuncia n. 6961/2022 della Corte Suprema con mancata applicazione del regime condiviso per la riscontrata ricorrenza di una PAS o sindrome di alienazione parentale, esistente quando vi siano da parte di uno dei genitori condotte dirette ad alienare moralmente o materialmente la prole dall’altro genitore).
Con la pronuncia n. 1486/2025 del 21 gennaio 2025 la Cassazione è tornata ad affermare che il collocamento dei minori non può basarsi su meri automatismi (ad es. la c.d. “maternal preference” dando per scontato che il padre non possa occuparsene tanto quanto la madre) ma va indagata la singola fattispecie, evitando che il provvedimento risulti ancorato, in astratto, unicamente ai ruoli di padre o di madre.
Nel caso particolare portato avanti alla Suprema Corte, si era accolto in sede di gravame il reclamo di una madre, la quale aveva domandato di censurare il provvedimento di primo grado che aveva disposto il collocamento paritario della figlia sostenendo che quest’ultima fosse da collocarsi presso di lei sul mero presupposto della tenera età di quest’ultima (3 anni).
La Corte ha invece sostenuto che è illegittimo il provvedimento che limiti in maniera consistente la frequentazione di uno dei genitori, come nel caso in cui sia stato applicato il collocamento prevalente presso la madre anziché quello paritario, motivato con il mero fatto che la figlia si trovi in età prescolare, senza valutazione in concreto delle effettive esigenze della bambina e della disponibilità paterna a continuare a prendersene cura, anche grazie alle condizioni logistiche favorevoli del caso che consigliavano la prosecuzione delle modalità di collocamento paritetico già in corso, rispondenti, in concreto, a “the best interest for the child” e ha stigmatizzato la decisione assunta dalla Corte d’Appello in applicazione di valutazioni, quale appunto la cosiddetta “maternal preference”, del tutto astratte e svincolate dall’analisi della fattispecie concreta.
Pertanto nell’adozione delle diverse soluzioni possibili in astratto si dovrà scegliere quelle che concretamente consentono di realizzare le finalità di cui all’art. 337-ter c.c. e assicurare al minore i diritti ivi previsti, cercando di ridurre al massimo i danni derivanti al minore dalla disgregazione del nucleo familiare garantendo così il miglior sviluppo della sua personalità.
La Corte Suprema in particolare ha rilevato come il Giudice di secondo grado “ha operato un giudizio in astratto, incentrato sulla sola età della minore, che comunque aveva già compiuto tre anni, senza prestare attenzione alle modalità di relazione in atto della bambina con i genitori”, ritenendo erroneamente che il criterio astratto della preferenza materna dovesse prevalere rispetto alle concrete condizioni della famiglia de qua, senza valutare le effettive condizioni di vita familiare e la miglior soluzione da preferire secondo la ratio dell’art. 337-ter c.c. in relazione alle capacità ed attitudini di entrambi i genitori nella cura e nell’educazione della minore.
La decisione assunta dalla Corte territoriale su tempi e modi di frequentazione della minore con il padre è risultata pertanto sganciata da una valutazione in concreto della relazione della bambina con ognuno dei suoi genitori, delle disponibilità ed attitudini dagli stessi mostrate, delle esigenze e bisogni della figlia, avendo – quale effetto ultimo – solo quello, ritenuto illegittimo, di limitare grandemente la conservazione del rapporto padre-figlia.
La decisione è stata quindi cassata dagli Ermellini, che hanno ripristinato nella fattispecie il collocamento paritetico già disposto dal tribunale in primo grado.