L’EMANCIPAZIONE DEL MINORE DI ETA’
23/04/2025Nei processi di separazione personale si fa talora ricorso alla produzione di screenshot estrapolati dalle chat presenti sui dispositivi mobili di telefonia cellulare dell’altro coniuge a fini di prova dell’eventuale tradimento, quale motivazione fondante l’addebito della responsabilità della fine dell’unione per causa dell’altrui infedeltà coniugale.
Ci si è quindi interrogati su quale valore probatorio assumano tali conversazioni digitali e chiesti se le loro riproduzioni sul piano documentale costituiscano o meno prova piena dei fatti ivi narrati e/o riprodotti.
Con la pronuncia n. 4530/2025 del 20-2-2025 la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sul punto, sancendo la non validità, al predetto fine, delle chat sottratte illegalmente dal telefono del coniuge.
Gravi profili di illegittimità riveste infatti, secondo gli Ermellini, l’acquisizione ed utilizzazione del materiale probatorio in assenza di consenso del coniuge ad accedere al suo telefono o, in alternativa, di comprovata abitudine dei coniugi alla condivisione della password per l’accesso al dispositivo cellulare del presunto fedifrago, consenso/condivisione che devono risultare comprovati in causa affinché tale materiale possa essere ritenuto lecito e pertanto costituire prova piena dell’infedeltà.
Nella fattispecie sottoposta all’esame della Corte di legittimità la prova dell’abitudinarietà da parte dei coniugi alla condivisione delle password era stata fornita in causa da una testimone, amica della moglie presunta tradita, ma come fatto riferito alla teste dalla moglie stessa.
Pertanto secondo quanto previsto nel nostro ordinamento in ordine al valore probatorio della testimonianza “de relato”, cioè “per riferito”, “ex parte actoris”, ossia da parte della stessa moglie ricorrente, la testimonianza era da considerarsi nulla e priva di valore probatorio, quindi la citata abitudine dei coniugi alla condivisione della password di accesso al cellulare del marito non risultava comprovata.
In tal caso, secondo la Suprema Corte, non si può negare tutela al diritto alla riservatezza del coniuge e la prova dell’infedeltà coniugale non potrà trovare riscontro negli screenshot delle conversazioni digitali illecitamente prodotti agli atti del giudizio.
Nel caso concreto, la mera produzione di screenshot privi di data, intestazione, mittente e destinatario identificabili, inoltre, non avrebbe neppure soddisfatto i requisiti di attendibilità, oltre che di legalità, della suddetta prova.
La Corte Suprema sostiene nella pronuncia esaminata che il rispetto della sfera privata e digitale dell’individuo – anche in presenza di una relazione affettiva e/o di convivenza – resti protetto dall’art. 8 CEDU e dall’art. 2 della nostra Costituzione e non possa essere derogato in assenza di prova di una chiara e comprovata autorizzazione del proprietario del telefono ad accedere ad esso.
Quanto sancito dalla Corte in ultimo grado si pone sulla scia di altra, recente, pronuncia del 18-1-2025 n. 1254 ove aveva stabilito che “i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e dunque possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una chat di whatsapp mediante copia dei relativi screenshot”, ma, specifica, ”tenuto conto della provenienza e attendibilità degli stessi”.