DIRITTO DEL MINORE POST-AFFIDO A MANTENERE RAPPORTI CON LA FAMIGLIA AFFIDATARIA
03/10/2025AFFIDAMENTO SUPER-ESCLUSIVO: NECESSARIO UN COMPROVATO PREGIUDIZIO AL MINORE
09/10/2025Con la legge n. 76/2016, meglio nota come “legge Cirinnà”, sono state introdotte nel nostro ordinamento le unioni civili fra coppie dello stesso sesso e disciplinati i contratti di convivenza, con il fine di estendere anche alle unioni omosessuali e alle famiglie di fatto alcune delle tutele previste per i soggetti uniti in matrimonio.
In conseguenza della sottoscrizione dei contratti di convivenza si producono obblighi giuridici a carico delle parti, per cui in caso di mancato adempimento ad opera di una delle parti, l’altra può rivolgersi ad un giudice per domandare il rispetto di quanto concordato. Inoltre, se alla cessazione della convivenza una delle parti versa in stato di bisogno e non è in grado di sostentarsi autonomamente ha diritto a ricevere dall’altro gli alimenti per un periodo proporzionale alla durata della convivenza nella misura stabilita dall’art. 438 II comma c.c. e cioè in proporzione allo stato di bisogno di chi li domanda e alle condizioni economiche di chi deve somministrarli.
In piena coerenza con tale tessuto normativo di introduzione e regolamentazione delle unioni civili e dei contratti nelle famiglie di fatto è recentemente intervenuta l’ordinanza n. 25495/2025 della Corte di Cassazione che si è pronunciata sulla vicenda di due donne friulane unite civilmente dal 2016.
Giunte le due partners al termine della loro unione civile la Suprema Corte si è pronunciata, al fine di garantire tutela economica alla parte che si trovava in condizioni di svantaggio, sancendo per la prima volta l’applicazione, anche nelle unioni civili, del diritto dell’una a percepire dall’altra un assegno di mantenimento.
Al pari di quanto avviene in caso di divorzio, secondo la prima sezione civile della Corte di legittimità, anche nelle unioni civili l’assegno può essere disposto quando viene accertata l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente e se ne individuano la funzione assistenziale e quella perequativo-compensativa.
Cioè quando l’assegno disposto sia atto a riequilibrare le differenti capacità economico-patrimoniali esistenti fra i partners o a compensare ex post le differenti attribuzioni fatte da un convivente all’altro o al patrimonio comune in corso di convivenza.
La funzione assistenziale anche qui sussiste quando una delle parti non dispone di mezzi sufficienti per una vita autonoma e dignitosa nonostante ogni sforzo di diligenza. La funzione perequativo-compensativa interviene invece quando scelte di vita comune o sacrificio di opportunità professionali o reddituali dell’uno in favore dell’altro partner abbiano cagionato uno squilibrio da regolare in sede disgregativa dell’unione.
Gli Ermellini hanno ancora una volta sottolineato come l’unione civile “consenta di formalizzare e dare rilevanza giuridica piena al rapporto tra due persone legate da una relazione omoaffettiva”.
E “nell’ambito dell’unione civile, non diversamente da quanto avviene nel matrimonio, l’assegno divorzile può riconoscersi ove, previo accertamento della inadeguatezza dei mezzi del richiedente, se ne individui la funzione assistenziale e la funzione perequativo-compensativa”.
Con la precisazione che “la sola funzione assistenziale può giustificare il riconoscimento di un assegno, che in questo caso non viene parametrato al tenore di vita bensì a quanto necessario per soddisfare le esigenze esistenziali dell’avente diritto, se invece ricorre anche la funzione compensativa, che assorbe quella assistenziale, l’assegno va parametrato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune nonché di quello personale dell’altra parte”.


 
         
         
        