LA LIQUIDAZIONE EQUITATIVA DEL RISARCIMENTO DEL DANNO AL CONIUGE
26/05/2025L’ex coniuge che in sede di divorzio dimostri di essere privo delle risorse necessarie a vivere in modo dignitoso può vedersi riconosciuto il diritto ad ottenere un assegno divorzile dall’altro coniuge obbligato/a che disponga dei mezzi economico-patrimoniali necessari e sufficienti (Cass. Civ. ord. n. 13420/2023).
Sostiene la Corte in tale pronuncia che “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5 comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”.
Il richiedente ha l’onere di dimostrare di non avere i mezzi di sussistenza e comprovare le ragioni che concretamente gli impediscono di reperirseli autonomamente, secondo il criterio dell’ordinaria diligenza.
Se “è vero che il richiedente deve dare la prova della oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati” è vero altresì che “la prova si può raggiungere anche tramite presunzioni e con valutazione resa in concreto alla attualità” dall’Autorità Giudiziaria richiesta di provvedere.
Secondo la Corte di legittimità altra prova desumibile, ottenibile cioè basandosi su presunzioni, è quella del contributo fornito alla formazione del patrimonio comune da parte del coniuge istante che si sia sempre occupato della cura della famiglia.
Tale asserzione è stata da ultimo ribadita dagli Ermellini nella pronuncia n. 9989 del 16 aprile 2025.
Nella fattispecie, il fatto che la consorte non avesse reperito una propria attività lavorativa, in quanto sempre dedita alla famiglia e con conseguente costituzione del relativo patrimonio a scapito della possibilità di un proprio inserimento nel contesto occupazionale, è stato ritenuto potere anch’esso essere desunto e poterlo essere – sostiene la Corte Suprema – dall’erogazione costante nei suoi confronti ad opera dell’ex marito di somme periodiche di rilievo, anche nel periodo post- separativo.
Se ciò si unisce al fatto che al momento della pronuncia la moglie era ormai sessantenne e pertanto “ovviamente l’inserimento nel mondo del lavoro le” era a quel punto “pressoché impossibile”, ne scaturisce il riconoscimento del suo diritto a percepire un assegno ex artt. 5 l. n. 898/70.
Sul punto la Corte aveva già avuto modo di affermare che “tanto la sussistenza di mezzi adeguati che la diligenza spesa nel tentativo di procurarseli sono da valutare alla attualità, tenendo conto delle condizioni personali, di salute e del contesto individuale ed economico in cui agisce il richiedente” (Cass. n. 15774 del 23/07/2020).
Nella fattispecie esaminata i Giudici del terzo grado di giudizio hanno rilevato che “La circostanza che la moglie non abbia mai lavorato durante il matrimonio essendosi sempre occupata della famiglia può pacificamente desumersi, anche dal fatto che il marito abbia continuato spontaneamente a versarle, dopo la separazione, non irrilevanti somme di denaro ogni mese”.
Ciò è stato ritenuto sufficiente a dimostrare le aspettative professionali sacrificate dalla moglie a vantaggio della famiglia e a dare prova del di lei apporto alla formazione del patrimonio comune e del marito.
L’esigenza assistenziale è stata ritenuta ricorrere e il principio di solidarietà post-coniugale è stato quindi applicato con accoglimento dell’istanza dell’ex moglie.