LA SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI
27/09/2023NUOVE REGOLE PER LA SEPARAZIONE, IL DIVORZIO E GLI ALTRI PROCEDIMENTI
24/10/2023E’ naturale che dopo essersi separati i coniugi possano voler giungere ad un passo più definitivo e a voler, quindi, anche sciogliere il vincolo matrimoniale che li lega, per recuperare lo stato libero e far cessare i diritti successori dell’altro coniuge.
Se la coppia si è sposata in chiesa con rito religioso il ricorso da depositarsi sarà per la “cessazione degli effetti civili di matrimonio concordatario”; se invece è convolata a nozze davanti all’ufficiale di stato civile l’istanza da proporsi sarà di “scioglimento del matrimonio”.
Le condizioni oggetto della richiesta di divorzio, se concordate tra le parti confluiscono in un ricorso congiunto (oppure, se queste hanno incaricato almeno due legali per la rispettiva tutela, anche in un accordo di negoziazione assistita: l. n. 162/2014 di conversione del d.l. n. 132/14).
Se invece la conflittualità esistente tra le parti ostacola una procedura congiunta, ciascuna delle due può incaricare il proprio legale di rivolgersi giudizialmente al Tribunale.
In entrambi i casi il giudizio termina con una sentenza che ha effetti costitutivi dello stato libero a modifica dello status di coniugato esistente.
E’ possibile per il coniuge, quando è economicamente più “debole”, ossia quando sussiste una differenza fra le condizioni economico patrimoniali delle parti e questa differenza lo vede soccombere significativamente, fare domanda di assegno per il proprio personale mantenimento, anche in sede divorzile.
Il Giudice verifica in giudizio se tale divario effettivamente sussista, se il coniuge che non ha mezzi sufficienti si trovi in stato di bisogno che non derivi da propria responsabilità e l’altro coniuge abbia le risorse necessarie per elargirgli un contributo al suo mantenimento.
Se le parti si accordano fra loro, il contributo per il mantenimento dell’altro coniuge può essere determinato e corrisposto anche sotto forma di elargizione “una tantum”, cioè in un’unica soluzione.
In accordo fra loro le parti possono anche decidere di trasferire dall’uno all’altro gli immobili comuni o le quote parti di loro proprietà di essi beneficiando, se il trasferimento o la promessa del trasferimento avviene attraverso il divorzio, delle esenzioni previste dall’art. 19 l. n. 74/1987 pari al 3% (imposta ipotecaria e catastale) dovuta sul valore del bene ceduto.
Quando il coniuge “debole” necessiti di un contributo assistenziale (c.d. assegno alimentare) e abbia contribuito alle sostanze dell’altro coniuge e/o della famiglia in maniera tale (attraverso ad es. il sacrificio delle proprie aspirazioni reddituali) da dover essere compensata a posteriori e si riscontri quindi la necessità di riportare in pareggio le condizioni, sperequate, fra marito e moglie, il Tribunale può disporre a favore del richiedente e a carico dell’altro coniuge un assegno mensile periodico (c.d. “assegno divorzile”).
E’ importante precisare che l’onere della prova di avere diritto ad un tale assegno, cioè la dimostrazione della sussistenza in concreto degli elementi sopra elencati che fondano questa pretesa, è a totale carico del coniuge richiedente l’assegno, il che significa che se non riesce a provare il fondamento del proprio diritto rivendicato in giudizio rischia la condanna alle spese di lite, anche dell’altro coniuge.
L’erogazione a titolo di assegno mensile periodico (non invece quella “una tantum” eventualmente concordata) conferisce al beneficiario che non si sia risposato ulteriori diritti:
– art. 9 comma 2 l. 898/70 (diritto ad una quota della pensione di reversibilità in caso di morte dell’ex coniuge ed eventualmente in concorso con coniugi superstiti);
– art. 12 commi 1 e 2 l. 898/70 (diritto ad una quota percentuale pari al 40% dell’indennità totale di fine rapporto dell’altro coniuge rapportata agli anni in cui il rapporto di lavoro del coniuge cui spetta l’indennità ha coinciso con il matrimonio).
Le condizioni di divorzio stabilite in accordo dalla coppia matrimoniale o per pronuncia del Tribunale, in entrambi i casi con sentenza, non sono però definitive ed immutabili, come ogni statuizione in materia di diritto di famiglia.
Nel caso si verifichino cambiamenti nelle condizioni di vita delle parti che siano significativi, cioè in grado di eventualmente modificare l’assetto economico-patrimoniale della coppia “fotografato” dal Tribunale all’atto della sentenza, l’ex marito o l’ex moglie possono nuovamente ricorrere alla autorità giudiziaria (anche in tal caso o in accordo o in contenzioso) per richiedere di apportare le necessarie modifiche al provvedimento in essere.
Spesso questo succede ad es. quando un figlio trova lavoro e sia necessario verificare se questo gli consenta o meno una autosufficienza economica oppure quando una delle parti perda/trovi un’occupazione lavorativa e si debba valutare come ciò si ripercuota sugli eventuali assegni erogati/goduti.
L’orientamento giurisprudenziale attuale in ogni caso va nel senso di incoraggiare e favorire l’auto-sostentamento delle parti dopo la pronuncia di divorzio, con una tendenza a riconoscere sempre minor valore alla solidarietà coniugale dopo che il vincolo matrimoniale sia venuto meno.