E’ COSTITUZIONALE NEGARE L’ACCESSO ALLE TECNICHE DI PROCREAZIONE ASSISTITA ALLE SINGLES ?
02/12/2024LA VIOLENZA DOMESTICA E/O DI GENERE IN AMBITO CIVILISTICO
15/12/2024Il passo successivo alla separazione personale, quello che permette di recuperare lo stato libero e far cessare i diritti successori dell’altro coniuge, è costituito dallo scioglimento del vincolo matrimoniale che lega i coniugi o, in caso di matrimonio religioso, dalla cessazione dei suoi effetti civili: il divorzio.
Se le condizioni oggetto della richiesta di divorzio vengono concordate tra le parti e quindi si basano su un mutuo consenso le parti possono depositare un unico ricorso a conclusioni congiunte.
Quando le parti sono assistite da almeno due legali, ciascuno per la propria personale tutela, dal 2014 possono divorziare anche tramite un accordo di negoziazione assistita (v. la l. n. 162/2014 di conversione del d.l. n. 132/14).
La soluzione bonaria in via congiunta è l’unica che può consentire ai coniugi di concordare che l’eventuale corresponsione di una somma dall’uno all’altro a titolo divorzile avvenga sotto forma di elargizione “una tantum”, cioè in un’unica soluzione.
In accordo fra loro le parti possono anche avvalersi della facoltà di trasferire gli immobili comuni o quote parti di essi in loro titolarità, beneficiando, se il trasferimento o la promessa del trasferimento avviene attraverso il divorzio (come anche attraverso la separazione), delle esenzioni pari al 3% (somma di quanto richiesto in misura percentuale per le imposte, ipotecaria e catastale, dovute al fisco sul valore del bene ceduto) come previsto dall’art. 19 l. n. 74/1987.
Tuttavia può accadere che la conflittualità esistente tra le parti renda l’accordo irraggiungibile. In tal caso, costituendo quello di divorziare un diritto tutelato dalla legge n. 898/70 e ss. modificazioni, ciascun coniuge può incaricare il proprio legale di rivolgersi giudizialmente al Tribunale.
In seguito al deposito di ricorso giudiziale può accadere che il processo di divorzio si svolga “nella contumacia del coniuge convenuto” in giudizio.
Il tribunale adito con ricorso, dopo avere fissato l’udienza per la comparizione personale delle parti, concede un termine al ricorrente per notificare il proprio ricorso e il provvedimento di fissazione di tale udienza all’altro coniuge, chiamandolo in giudizio, affinché depositi le proprie istanze e difese e compaia personalmente alla udienza indicata.
Se la notifica avviene regolarmente in termini e l’altra parte non si costituisce in giudizio e non compare in udienza, il Giudice, verificata la regolarità della notifica e, se lo ritiene, fatta ripetere la stessa, il Giudice dichiara la contumacia del coniuge non comparso e non costituito e il processo procede ugualmente in sua formale assenza.
Ciò comporterà che le istanze del ricorrente non saranno contestate e, se ritenute fondate, verosimilmente accolte senza necessità dello svolgimento di una apposita fase istruttoria.
Il convenuto può comunque costituirsi in giudizio, anche tardivamente, fino alla udienza di precisazione delle conclusioni, con perdita tuttavia, in tal caso, del diritto di formulare le istanze (ad es. la domanda di assegno divorzile) che avrebbe potuto presentare ove si fosse costituito nei termini indicati dal Tribunale nel primo provvedimento notificatogli.
La sentenza emessa a definizione del processo svoltosi in contumacia va notificata ai sensi del comma IV dell’art. 292 c.p.c. personalmente alla parte rimasta tale, la quale è ammessa, in un termine di trenta giorni dalla ricevuta notifica della stessa o nel termine di sei mesi ove non gli sia stata notificata, a far valere le proprie ragioni in giudizio nel caso ritenga e voglia comprovare di essere stata ingiustificatamente pretermessa.
Il contumace, a cui la sentenza non sia stata notificata per far decorrere il termine breve di trenta giorni, che riesca a fornire la prova della nullità della citazione in giudizio o della notificazione o degli altri atti di cui è obbligatoria la notifica nei suoi confronti per l’art. 292 c.p.c. è svincolato dalle suddette decadenza e potrà impugnare la sentenza nel termine di sei mesi da quando abbia avuto notizia del processo e della sentenza conclusiva di esso.
Sia che si adisca il tribunale su ricorso congiunto, sia che lo si interpelli depositando una istanza giudiziale, anche nel caso che qui ci occupa in cui il procedimento si sia svolto “in contumacia”, il giudizio di divorzio termina con una sentenza che costituisce lo status di coniuge divorziato e quindi determina lo stato libero che modifica il precedente status di coniugato.