UN UNICO EPISODIO DI VIOLENZA GIUSTIFICA L’ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE
07/05/2025Che cosa accade quando uno dei due coniugi si indebiti e subisca il pignoramento della propria quota o dell’intera casa familiare intestata all’altro coniuge ad opera di terzi creditori? In tal caso, il coniuge che la abita, che potrebbe esserne contitolare o anche esserne il mero assegnatario in ragione del collocamento della prole minore presso di lui, come si tutela a fronte di una tale azione esecutiva?
Premesso che il coniuge comproprietario e/o assegnatario non può opporsi al pignoramento dell’immobile destinato a residenza familiare da parte di terzi nei confronti dell’altro coniuge, il discrimine tra la massima e la minima tutela di tale diritto che egli può vantare è dato dalla sua previa trascrizione del provvedimento di assegnazione della suddetta (pattuito o reso in sede separativa) presso la competente Conservatoria dei Registri Immobiliari.
L’adempimento è volto a dare conoscenza ai terzi di tale vincolo e rende possibile opporlo agli eventuali successivi creditori procedenti del proprietario/comproprietario che andranno a trascrivere successivamente il loro pignoramento, poiché il Giudice dell’Esecuzione nel prendere i provvedimenti che riguardano la vendita ed eventuale conseguente liberazione dell’immobile pignorato sarà tenuto a rispettare l’ordine e il dettato di tali trascrizioni.
Poiché l’adempimento della trascrizione del provvedimento di assegnazione non è obbligatorio, ma è una facoltà della parte che vi abbia interesse, è vivamente consigliato adempiere spontaneamente a tale onere proprio per poter vantare la tutela massima nel caso che ci occupa. Infatti il coniuge assegnatario che avrà trascritto il relativo provvedimento prima della trascrizione del pignoramento sull’immobile potrà continuare ad occuparlo in quanto a lui assegnato in base ad assegnazione trascritta precedentemente all’atto di pignoramento anche nei confronti del nuovo proprietario e ciò fino alla revoca dell’assegnazione, che di norma avverrà quando la prole che occupa l’immobile sarà autosufficiente economicamente.
Da quando tale strumento di tutela è accessibile? Non è trascrivibile il ricorso di separazione, ma lo è già il provvedimento che renda i provvedimenti temporanei ad urgenti nel corso del relativo processo, prima della riforma Cartabia entrata in vigore il 28-2-2023 emesso dal Presidente del Tribunale, ora da tale Ufficio, per mezzo del Giudice designato per il procedimento.
L’ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c. sopravviveva anche all’eventuale estinzione del processo di separazione, la quale, una volta trascritta, non poteva essere revocata fino alla successiva instaurazione di eventuale nuovo procedimento separativo, i cui atti andassero a sostituirla.
Attualmente l’ordinanza del Giudicante che nei procedimenti che interrompono la convivenza tra genitori, coniugati o meno, assegna l’immobile già residenza familiare è trascrivibile e costituisce titolo per apporre ipoteca giudiziale a garanzia.
Si può poi trascrivere anche la sentenza definitiva del procedimento separativo che statuisca riguardo l’assegnazione della casa familiare, confermandola, modificandola o revocandola.
Quali effetti ha la trascrizione del provvedimento di assegnazione? La relativa giurisprudenza è mutata nel corso degli anni e con l’evolversi della normativa. Se prima del 2006 e dell’avvento della legge sull’affidamento condiviso l’assegnazione, ancorché non trascritta, era comunque opponibile per un novennio anche al nuovo proprietario, attualmente l’art. 1599 c.c. non è più applicabile e l’assegnazione è opponibile fino al venire meno dei suoi presupposti e alla sua revoca, solo in quanto trascritta e trascritta antecedentemente al pignoramento.
Il coniuge che soggiaccia al pignoramento dell’immobile assegnatogli, potrà continuare ad abitare l’immobile o meno a seconda di se abbia o meno trascritto, e in via previa oppure no rispetto alla trascrizione del pignoramento, il provvedimento di assegnazione del godimento dell’immobile in proprio favore anche a scapito di eventuali diritti di proprietà su di esso acquistati successivamente da terzi.
Ove di tale immobile sia anche comproprietario, a seguito del pignoramento della quota dell’altro, potrà vedersi liquidata la propria quota e soddisfarsi sulla quota pignorata di quest’ultimo ove vi fosse capienza e avesse maturato crediti (se di mantenimento, anche privilegiati in quanto alimentari), nei confronti dell’altro coniuge.
Ma chi paga le spese legali del procedimento di esecuzione? Esse gravano tutte sull’esecutato o anche sul coniuge comproprietario, ancorché in misura proporzionata alla quota del proprio diritto?
La giurisprudenza sul punto non è uniforme ed è variamente applicata dai giudici di merito.
C’è chi sostiene che anche il comproprietario sia tenuto in ragione della propria quota in via solidale con il debitore, in quanto l’art. 600 II comma c.p.c. prescrive che il Giudice dispone la divisione “secondo le norme del codice civile” riferendosi a quelle applicate in sede di scioglimento delle comunioni ordinarie di beni indivisi, secondo cui le spese legali gravano sulla massa (Cass. Civ. 22903/2013).
C’è invece chi ritiene che il comproprietario esecutato, totalmente estraneo alla vicenda debitoria, ne debba andare indenne e abbia diritto solamente al ricavato della vendita pro-quota senza dovere sopportare le spese di un procedimento iniziato da altri e riguardo al quale non ha responsabilità.
Chi aderisce a tale secondo orientamento così lo sostiene:
– diversa utilità che si ricava dalla divisione: chi volontariamente divide un immobile in comunione, agisce per una propria utilità diversamente da colui che soggiace in modo coatto alla divisione.
– sperequazione a vantaggio del creditore di una quota, che potrebbe vedere il pagamento delle spese legali addossato a tutti gli altri contitolari, rispetto a chi è intestatario dell’intero cespite.
– giurisprudenza di legittimità difforme nell’analogo caso di divisione della comproprietà di immobile in comunione legale fra coniugi, ove il comproprietario non debitore ha diritto “al controvalore lordo del bene nel corso della stessa procedura esecutiva, neppure potendo a lui farsi carico delle spese di trasformazione in denaro del bene, (cioè quelle della procedura” esecutiva “medesima), rese necessarie per il solo fatto del coniuge debitore, che non ha adempiuto i suoi debiti personali” (Cass. Civ. n. 6575/2013, come confermato da Cass. Civ. n. 6230/2016 che stabilisce il diritto pro-quota del coniuge comproprietario al ricavato della vendita del bene al lordo di tutte le spese esecutive ”non potendo farglisi carico anche delle spese di una liquidazione che già ha luogo contro la sua volontà”).
– secondo la Suprema Corte a Sezioni Unite pronuncia n. 2502/2029, la divisione endo-esecutiva non è un autonomo processo di espropriazione, ma un’articolazione interna alla stessa procedura esecutiva “trovandosi in rapporto di strumentalità necessaria rispetto ad esso”, da cui discende il necessario corollario che non si possano mutuare i principi della divisione ordinaria rispetto ad una procedura che ordinaria non è e quindi applicare analogicamente ad essa norme che non tengano conto della sua non ordinarietà e delle numerose ed evidentissime differenze rispetto alla divisione ordinaria disciplinata dal codice civile, con l’assurdo che l’unico elemento di condivisione tra i due procedimenti sarebbe costituito proprio dalla condivisione delle spese.
Le spese legali dovrebbero invece gravare sul solo comproprietario debitore che con il proprio comportamento ha provocato l’esecuzione immobiliare.
Ciò appare anche in linea con il dettato costituzionale, il cui art. 2 parrebbe invece violato dall’indirizzo opposto, in quanto accogliendo il primo orientamento si concederebbe al debitore comproprietario non solo il potere, che già gli compete, di provocare autonomamente la divisione, ma anche quello, ulteriore ed illegittimo, di recare con la propria condotta danno al comproprietario incolpevole.