L’USUCAPIONE DELLA CASA FAMILIARE
06/08/2025Dopo avere riconosciuto alle singles il diritto a vedersi riconosciuta la maternità in caso di figli concepiti all’estero tramite procedura medicalmente assistita (pur confermando con la sentenza n. 69/2025 il divieto di accesso a tali procedure in Italia per le donne non facenti parte di una coppia), la Consulta ha compiuto un altro passo significativo e giuridicamente rivoluzionario nel senso del riconoscimento di una maternità ideologica ed artificiale sganciata dal dato biologico e dalle volontà espresse dal legislatore.
Con la sentenza n. 115/2025, infatti, ha riconosciuto il diritto al congedo di paternità alla lavoratrice madre intenzionale in una coppia di donne risultanti entrambe genitrici nei registri dello stato civile.
La Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 27-bis del d. lgs. n. 151/2001 nella parte in cui non riconosceva il congedo di paternità obbligatorio ad una lavoratrice con tale qualità e, operando in un senso “gender neutral”, ha normativamente sostituito la figura del “padre” con quella del “secondo genitore equivalente”.
Si noti che il decreto legislativo n. 105/2022 in attuazione della Direttiva Europea n. 2019/1158/EU aveva lasciato liberi gli Stati Membri di attuarla o meno a seconda di quanto previsto dal rispettivo ordinamento interno, e l’organo legislativo aveva deliberatamente riconosciuto il congedo obbligatorio al solo “padre lavoratore”.
L’operato della Consulta è pericolosamente andato oltre il legislatore nazionale, invadendone l’ambito e creando una figura normativa ad hoc, la “madre intenzionale”, sconosciuta al dettato normativo, e ciò sulla base di un’interpretazione funzionalista della maternità non prevista dal nostro Parlamento.
La Consulta ha invece sancito, con la pronuncia in esame, una valenza costitutiva dell’intenzionalità procreativa, sostenendo nel Comunicato Stampa del 21-7-2025 che l’orientamento sessuale fosse irrilevante ai fini della responsabilità genitoriale e affermando che il figlio ha diritto ad avere due genitori – l’uno biologico, l’altro intenzionale – laddove vi sia stato un “progetto genitoriale” realizzato tramite pratiche di PMA all’estero, ancorché vietate in Italia.
Con tale pronuncia tuttavia la Corte Costituzionale oltre ad avere invaso l’ambito riservato al Parlamento, creando un pericoloso precedente, ha eluso la normativa sull’adozione in casi particolari, unico strumento previsto dalla normativa nazionale per riconoscere la genitorialità del partner non biologico.
Inoltre, dando rilievo esclusivamente alla “funzione di cura”, piuttosto che al riconoscimento dell’identità del padre e alla complementarietà dei ruoli madre-padre, ha neutralizzato la differenza sessuale come fondamento della genitorialità e fatto derivare diritti previdenziali da un atto non normativo, con violazione del principio di legalità.
Posteriormente alla citata sentenza, infatti, la genitorialità non costituisce più solamente un dato giuridico oggettivo fondato su una base biologica, bensì talora anche una mera costruzione soggettiva fondata sull’intenzionalità e sulla registrazione amministrativa, con conseguente decostruzione giuridica della filiazione e delle sue basi naturali e legislative nel nome di scelte adulte, più che di un vero interesse del minore.