CONSEGUENZE DELL’INOTTEMPERANZA AL PROVVEDIMENTO DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE
09/04/2024IL CONTRATTO DI CONVIVENZA
14/04/2024Non tutti sanno che per far cessare lo stato di coniuge separato non è necessario tornare davanti ad un Giudice.
L’art. 157 c.c. prevede che i coniugi in accordo tra loro possono far cessare gli effetti della separazione con una dichiarazione espressa o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.
E’ l’istituto della “riconciliazione”, tramite il quale i coniugi separati, che decidano insieme di ripristinare la convivenza materiale e l’unione spirituale, fanno cessare gli effetti della separazione personale fra loro intervenuta.
Gli effetti si producono dal momento della riconciliazione in avanti, salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede in assenza di pubblicità del nuovo stato (si veda ad esempio il ripristino della eventuale comunione legale nei confronti dei terzi creditori).
Ciò non esclude che poi la separazione tra i medesimi coniugi possa essere nuovamente pronunciata in seguito, ma solo ed esclusivamente in relazione a fatti e comportamenti posti in essere dai coniugi dopo la intervenuta riconciliazione.
La riconciliazione fra i coniugi interrompe in modo definitivo la separazione e i suoi effetti, tanto che per potere addivenire all’eventuale divorzio occorrerà procedere preliminarmente ad una nuova separazione, in quanto la sentenza di separazione risulta privata dei suoi effetti dall’attuata decisione comune dei coniugi di riconciliarsi come previsto dall’art 157 c.c.
“lo stato di separazione tra i coniugi si può legittimamente dire interrotto nel caso nel quale si sia ricostituito in modo durevole il preesistente nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali, in modo da generare il pregresso vincolo coniugale, e non quando il riavvicinamento dei coniugi, anche se si hanno la ripresa della convivenza e i rapporti sessuali, rivesta caratteri di temporaneità e occasionalità”.
Questo è quanto precisa la giurisprudenza affinché non si verifichino abusi dell’istituto, che deve invece essere sorretto da un effettivo ripensamento e da una concreta volontà di ripristino della unione matrimoniale poi posta in essere fra i coniugi.
L’istituto non produce l’effetto di ripristino del vincolo fra ex coniugi, cioè quando gli stessi siano già divorziati.
Poiché il divorzio scioglie il vincolo matrimoniale, costituendo ex novo lo stato libero, per risultare di nuovo coniugati l’ex marito e la ex moglie dovranno necessariamente contrarre un nuovo matrimonio.
Non è corretto tuttavia sostenere che la ripresa della convivenza fra divorziati sia del tutto priva di effetti.
Precisa l’ordinanza n. 6889 dell’8 marzo 2023 della Corte di Cassazione che quando due ex coniugi riprendano a convivere per un periodo temporalmente definito (senza addivenire a nuove nozze), tale circostanza sopravvenuta è idonea a consentire al giudice, adito in sede di revisione delle condizioni economiche del divorzio ai sensi dell’art. 9 della relativa legge, di rivalutare le condizioni e i criteri per l’attribuzione e quantificazione dell’eventuale assegno divorzile richiesto.
Nella fattispecie concreta esaminata dalla Corte di legittimità, la Corte d’Appello aveva statuito che – anche ove fosse intervenuta tra gli ex coniugi una temporanea ripresa della convivenza a tutti gli effetti di legge – la medesima non avrebbe potuto determinare anche la rinuncia dell’ex coniuge al diritto all’assegno divorzile in proprio favore “e non piuttosto alle sole prestazioni nel periodo di ripresa della convivenza”, tanto da non poter ritenersi precluso esigere poi l’assegno divorzile a decorrere dalla cessazione della asserita ripresa della convivenza.
Andando contro a quanto rilevato dai Giudici dell’Appello la Suprema Corte ha invece specificato che “tale riconciliazione” successiva al divorzio non potesse non avere incidenza, costituendo un fatto sopravvenuto, sulla richiesta di revisione dell’assegno divorzile trattandosi in verità di una vera e propria sopravvenienza rispetto all’equilibrio anteriore, consegnato, per la sua regolazione, a un giudicato “rebus sic stantibus” (ossia “stando così le cose”) e quindi – a cose modificate – non più capace di regolare il nuovo e modificato assetto di interessi post-coniugali.