IL DIVORZIO IN CONTUMACIA
08/12/2024E’ POSSIBILE L’UNA TANTUM IN SEDE DI SEPARAZIONE ?
22/12/2024La legge di riforma Cartabia entrata in vigore il 28-2-2023 ha introdotto agli artt. 473 bis ss. c.p.c. un’apposita disciplina atta a contrastare la violenza di genere e a tutelare partner e minori, allorché siano allegati abusi e violenze domestiche o di genere in loro danno.
Nel codice civile il termine abuso viene utilizzato dall’art. 330 per tutelare i figli da un uso eccessivo ed arbitrario in loro pregiudizio della responsabilità genitoriale.
Nel codice penale il termine si rileva nell’art. 571 “abuso dei mezzi di correzione e disciplina” e nel successivo art. 572 si punisce, introducendo il concetto di violenza domestica, “chiunque maltratta persona della famiglia o comunque convivente”.
Le convenzioni internazionali e la relativa applicazione giurisprudenziale ampliano la tutela fornita dal diritto nazionale ai comportamenti comunque lesivi della dignità del partner e/o della prole.
In particolare la Convenzione di Istanbul descrive in cosa consista:
– la violenza domestica: tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica che si verificano all’interno della famiglia o della precedente famiglia indipendentemente che ci sia o meno stata una residenza comune tra l’autore della violenza e la/e vittima/e.
– la violenza di genere: violenza perpetrata in ragione di ruoli, attività, attributi e comportamenti che il sentire sociale considera appropriati per quel genere.
– la violenza sulle donne basata sul genere: atti violenti perpetrati nei confronti di una donna in quanto donna oppure che colpisce il genere femminile in maniera prevalente.
Per violenza psicologica si intende qualsiasi condotta persecutoria, aggressione verbale, tesa ad intimidire, sopraffare, umiliare la vittima.
Per violenza economica invece si intende un comportamento diretto a creare una forma di soggezione economica del partner.
Premesso che anche un unico episodio di percosse integra violenza domestica ed è sufficiente a causare addebito della separazione in caso di coniugio, è possibile rivolgersi al Tribunale anche a prescindere dall’avvio di una causa di separazione per domandare tutela contro l’atto/gli atti violento/i.
Il ricorso dovrà essere corredato da tutte le informazioni personali ed economiche sulle parti, dovrà indicare eventuali procedimenti in corso anche in altre sedi, gli accertamenti svolti ed eventuali provvedimenti adottati.
Il Giudice ha ampi poteri istruttori a carattere inquisitorio, può dimezzare i tempi del procedimento, purché mantenga il diritto al contraddittorio, eventualmente differito, e alla prova contraria.
Particolare menzione merita l’introduzione di norme atte ad evitare la cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, quella che non si manifesta direttamente, bensì indirettamente in via mediata attraverso la risposta di giudici e istituzioni alla vittima: no alla contemporanea presenza delle parti in udienza, divieto di invito alla mediazione familiare, se inserita in struttura protetta l’indirizzo della vittima è secretato e sono nominati, quali ausiliari del giudice, esperti in materia di violenza domestica e/o di genere, ascolto del minore da parte di questi o del giudice curando l’evitamento di ogni contatto con l’autore degli abusi.
All’esito, se il Giudice ritiene fondate le istanze formulate, può adottare diverse forme di tutela, il cui contenuto non è tipizzato ma deve essere ispirato al criterio della proporzionalità tra l’offesa che si dice ricevuta e la misura adottata.
Tra le misure adottabili vi sono l’inibitoria, ossia l’ordine di cessare la condotta o di eliminarne gli effetti, l’allontanamento dalla casa familiare, l’ordine di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla/e vittima/e, l’intervento dei servizi sociali e/o delle associazioni a tutela delle vittime di violenza, così come il pagamento di un assegno mensile, anche previe indagini di polizia tributaria, per coloro che per effetto dell’adozione della misura rimangano privi di mezzi adeguati di sussistenza.
Gli ordini di protezione sono stati introdotti dalla l. 154/01 e poi modificati dalla legge di riforma sopra menzionata che ha previsto i nuovi artt. 473 bis n. 69-71 c.p.c. e, sotto la specifica denominazione “della violenza domestica e di genere”, gli artt. 473 bis n. 40-46 c.p.c.
Essi non rientrano nel rito unificato di famiglia e la domanda può essere presentata anche dalla parte personalmente, senza avvocato, e va rivolta al tribunale del luogo di residenza o domicilio dell’istante quando occorra la cessazione di una condotta che arrechi un grave pregiudizio attuale all’integrità fisica o morale o alla libertà dell’altro partner o dei figli.
La misura può essere richiesta oltre che dal coniuge o convivente abusato anche da persona diversa dalla vittima (ad es. dal genitore a tutela dei minori) e, se in pregiudizio di questi ultimi e anche nei casi in cui siano costretti ad assistere agli abusi nei confronti di un genitore c.d. “violenza assistita”, ora anche dal Pubblico Ministero. In tale ultimo caso è competente il Tribunale per i minorenni.
Il procedimento si conclude con decreto motivato immediatamente esecutivo, che specifica contenuto, durata e modalità di attuazione della misura, la cui durata massima è di un anno, prorogabile solo su istanza, per gravi motivi e per il tempo strettamente necessario.