IL PAGAMENTO DIRETTO DEL MANTENIMENTO DAL DATORE DI LAVORO
12/09/2024DIRITTO ALL’ASSEGNO SOCIALE ANCHE IN CASO DI RINUNCIA AL MANTENIMENTO
21/09/2024E’ possibile per il coniuge economicamente più “debole”, ossia colui che soccomba significativamente nei confronti dell’altro coniuge quando sussista una differenza fra le condizioni economico patrimoniali delle parti, fare domanda di assegno per il proprio personale sostentamento in sede divorzile.
Il Giudice verifica in giudizio se il significativo divario economico-patrimoniale tra le parti effettivamente sussista, se il coniuge che non ha mezzi sufficienti si trovi in stato di bisogno che non derivi da propria responsabilità e l’altro coniuge abbia le risorse necessarie per elargire un contributo al suo mantenimento.
Se le parti si accordano fra loro, il contributo in sede divorzile può essere determinato e corrisposto anche sotto forma di elargizione “una tantum”, cioè in un’unica soluzione.
Quando il coniuge “debole” necessiti di un assegno alimentare (funzione assistenziale) e abbia contribuito alle sostanze dell’altro coniuge e/o della famiglia in maniera tale (attraverso ad es. il sacrificio delle proprie aspirazioni reddituali) da dover essere compensata a posteriori (funzione compensativa) e si riscontri quindi la necessità di riportare in pareggio le condizioni, sperequate, fra marito e moglie (funzione perequativa), il Tribunale può disporre a favore del richiedente e a carico dell’altro coniuge un assegno mensile periodico (c.d. “assegno divorzile”) con onere della prova di avere diritto ad un tale assegno, cioè la dimostrazione della sussistenza in concreto degli elementi sopra elencati che fondano questa pretesa, a totale carico del coniuge richiedente l’assegno.
In merito alla necessità di valorizzazione in sede divorzile delle rinunce professionali effettuate da uno dei coniugi che abbisognino di successivo intervento giudiziale compensativo e perequativo si è pronunciata la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 18506/2024 del 8-7-2024.
Gli Ermellini hanno ribadito nella citata pronuncia che “il contributo fornito da un coniuge alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro, anche attraverso la rinuncia a proprie aspettative professionali deve essere valorizzato ai fini della determinazione dell’assegno divorzile.”.
La pronuncia conferma i precedenti orientamenti (si veda ad esempio la sentenza n. 11504/17 secondo la quale “l’assegno divorzile oltre a garantire un sostegno economico deve anche riconoscere e compensare i sacrifici fatti dal coniuge economicamente più debole durante il matrimonio”), ma rispetto a questi fa un ulteriore passo in avanti espressamente motivando che “il sacrificio delle proprie aspettative professionali” da parte del coniuge debole “ se motivato da esigenze familiari e concordato con l’altro coniuge, deve essere valutato come un contributo significativo al benessere complessivo della famiglia.
La pronuncia in esame ha sancito cioè il riconoscimento formale delle rinunce professionali come elemento determinante da valutarsi nella quantificazione dell’assegno divorzile e ribadito così l’importanza del lavoro domestico e di cura, sebbene non retribuito, quale contributo economico indiretto di grande rilievo.
Per poter beneficiare del riconoscimento economico derivante dalle rinunce professionali occorrono una serie di requisiti che devono sussistere: il nesso causale tra la rinuncia professionale e le specifiche esigenze familiari; la condivisione implicita od esplicita fra i coniugi della scelta di rinunciare ad obiettivi professionali effettuata da uno di loro nel rispetto del principio di solidarietà familiare (art. 156 c.c.); l’incremento patrimoniale familiare o del patrimonio dell’altro coniuge determinato dalla rinuncia.
La pronuncia segna un importante progresso nella promozione della sostanziale parità tra i coniugi e nell’effettivo perseguimento dell’uguaglianza di genere.