VALORIZZAZIONE DELL’AUTORESPONSABILITA’ NEL DIRITTO ALL’ASSEGNO DIVORZILE
05/05/2025UN UNICO EPISODIO DI VIOLENZA GIUSTIFICA L’ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE
07/05/2025La Corte di Cassazione ha stabilito nell’ordinanza n. 3502 depositata l’11 febbraio 2025 che la persona affetta da gravi malattie genetiche non ha diritto ad alcun risarcimento del danno per la vita sofferta vissuta in conseguenza del fatto di essere venuta al mondo.
Il caso specifico esaminato dalla Suprema Corte prendeva avvio dal ricorso di un ragazzo affetto da disabilità, il quale dapprima per mezzo dei genitori, successivamente in proprio quale maggiore di età, agiva in giudizio nei confronti dell’A.S.L. e del ginecologo che aveva assistito sua madre sostenendone un’errata diagnosi successiva al concepimento, diagnosi che difettava dell’individuazione delle sue congenite malformazioni e che quindi aveva, a suo dire, impedito alla genitrice la scelta di interrompere o meno la gravidanza per tale motivo e lo aveva inevitabilmente costretto a nascere e a vivere in una condizione sofferente a lui insopportabile.
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile sostenendo che il diritto a non affrontare una nascita indesiderata e ad interrompere quindi la propria gravidanza è un diritto che secondo la l. n. 194/1978 appartiene solo alla madre e non al nascituro ed è un diritto che la medesima esercita tramite una determinazione che, dal punto di vista giuridico, assume a tutela del proprio benessere e non in ragione di una prognosi sulle possibilità per il nascituro di vivere una vita felice.
Inoltre la l. n. 219/2017 stabilisce che il diritto a rifiutare e ad interrompere volontariamente qualsiasi trattamento sanitario indicato dal medico è esercitabile da un individuo capace di agire e richiede pertanto uno stato di coscienza incompatibile con quello di un soggetto che ancora deve venire ad esistenza.
Non è tutelato dal nostro ordinamento il diritto a non nascere se non sani.
Le motivazioni rese dalla Corte di legittimità a sostegno della propria decisione di inammissibilità sono le seguenti:
in primo luogo la condizione di sofferenza in vita del soggetto disabile deriva dall’eredità genetica, non già dal presunto errore del sanitario nella diagnosi prenatale. Né la vita del nato può essere considerato un danno conseguenza dell’illecito del sanitario.
In secondo luogo, la nascita non sarebbe un danno risarcibile per il nascituro in quanto, anche nel caso di corretta diagnosi prenatale, l’alternativa per il soggetto al non nascere in una condizione di sofferenza sarebbe stata quella di non nascere, non già di nascere sano.
Infine perché fino a che il soggetto non venga alla luce, quindi solo condizionatamente all’evento nascita, egli può acquistare diritti, non certo prima, al momento della diagnosi prenatale.
Trattandosi, quello di non nascere, di un diritto personalissimo, prima del parto tale diritto non può esistere, e infatti non esiste, in capo ad un soggetto che solo nascendo diventa capace.
Senza contare che nessun giudice col senno di poi può essere posto nella condizione di dovere decidere quale vita meriti di essere vissuta e quale altra invece no.