IL DIRITTO ALLA RIPETIZIONE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO
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14/01/2024Per ottenere l’attribuzione del diritto a percepire l’assegno divorzile è necessario essersi dedicati in maniera esclusiva alla famiglia oppure è sufficiente aver sacrificato un’aspettativa o una occasione professionale?
Con l’ordinanza n. 27945/2023 la Corte di Cassazione, nell’accogliere le doglianze di una moglie a cui era stato rifiutato detto assegno, si è pronunciata nel senso di ritenere che l’ordinamento giuridico non richiede per il riconoscimento dell’assegno divorzile una totale dedizione esclusiva alla famiglia.
Secondo gli Ermellini il giudice di merito ha erroneamente dato rilievo alla ritenuta mancanza di prova del fatto che l’incremento del patrimonio immobiliare del coniuge, avveratosi nel corso di matrimonio, avesse “esclusiva giustificazione” nell’attività familiare della ricorrente, perché la norma non richiede tale esclusività, essendo necessario e sufficiente che sia stato prestato un contributo personale e duraturo alle esigenze della famiglia da parte della richiedente.
Errata secondo la Suprema Corte sarebbe stata la negazione dell’assegno “in assenza della dimostrazione che il menzionato contributo avesse assunto la connotazione di ‘dedizione esclusiva’, evidenziando che l’assegno deve essere corrisposto ogni volta in cui risulti l’assunzione di un impegno familiare con sacrificio di quello lavorativo”.
Il giudizio sull’attribuzione dell’assegno di divorzio (v. i parametri dettati dalla Cassazione a SS. UU. n. 18287/2018) deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, “in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed alla età della avente diritto”.
In sostanza “il giudice del merito e’ chiamato ad accertare la necessita’ di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta alla richiedente”.
“Deve essere dimostrato, dunque, che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita professionale per dedicarsi alla famiglia, senza che sia necessario indagare sulle motivazioni strettamente individuali ed eventualmente intime che hanno portato a compiere tale scelta, che, comunque, e’ stata accettata e, quindi, condivisa dal coniuge”, quindi – per quanto qui rileva – occorre dare prova “soltanto che l’ex coniuge abbia effettivamente fornito il suo contributo personale alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune o di quello personale dell’altro coniuge, a scapito del tempo e delle energie che poteva potuto dedicare al lavoro o alla carriera”.
La Corte quindi conclude nel senso che una tale dedizione totale alla famiglia, ove riscontrata, possa rilevare sì, ma solo in relazione alla quantificazione dell’assegno, una volta esclusane la necessità per il suo riconoscimento: “la legge non richiede una dedizione esclusiva, essendo necessario e sufficiente che il coniuge abbia sacrificato l’attività lavorativa o occasioni di carriera professionale per dedicarsi di più alla famiglia. L’entità di tale sacrificio e’, semmai, rilevante ai fini della quantificazione dell’assegno, sempre se sussistono i presupposti per la sua erogazione”.