NESSUN DIRITTO DEL DISABILE A NON NASCERE
06/05/2025IL PIGNORAMENTO DELLA CASA FAMILIARE
16/05/2025Anche un unico episodio di percosse integra violenza domestica ed è sufficiente all’accoglimento della domanda di addebito della separazione formulata da un coniuge che ne sia stato vittima nei confronti dell’altro.
Lo ha ribadito la Corte Suprema con l’ordinanza 10021/2025 del 16 aprile 2025.
La Corte di legittimità ha cassato la sentenza con cui il giudice di II grado aveva revocato l’addebito al marito disposto dal primo giudice, che aveva accertato l’episodio violento sulla base di un unico referto di pronto soccorso prodotto dalla moglie, corroborato dall’insieme delle testimonianze di terzi ed ex parte actoris rese in difetto di percezione diretta dell’episodio violento da parte degli stessi, e conseguentemente attribuito al marito la responsabilità del fallimento dell’unione coniugale, addebitandogli la separazione personale.
Trattandosi di comportamento assunto da uno dei due coniugi in danno dell’altro, ritenuto idoneo a definitivamente sconvolgere l’equilibrio relazionale di una coppia poiché lesivo della pari dignità di ogni persona, l’addebito secondo gli Ermellini risulta fondato.
Posto che l’istituto dell’addebito è rimedio applicabile alle sole coppie coniugate all’atto della separazione, si tenga a mente che la legge di riforma c.d. “Cartabia” entrata in vigore il 28-2-2023 ha introdotto agli artt. 473 bis ss. c.p.c. una disciplina apposita atta a contrastare la violenza di genere e a tutelare anche il partner e i minori, allorché siano allegati abusi e violenze domestiche o di genere in loro danno.
Per violenza domestica, seguendo la descrizione fattane dalla Convenzione di Istanbul, si intendono tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica che si verificano all’interno della famiglia, anche di fatto, o della precedente famiglia, indipendentemente che ci sia o meno stata una residenza comune tra l’autore della violenza e la vittima.
Quando ci si trovi di fronte ad uno dei casi indicati, il relativo ricorso dovrà essere corredato da tutte le informazioni personali ed economiche sulle parti, dovrà indicare eventuali procedimenti in corso anche in altre sedi, gli accertamenti svolti ed eventuali provvedimenti adottati.
Il Giudice ha ampi poteri istruttori a carattere inquisitorio, può dimezzare i tempi del procedimento, purché mantenga il diritto al contraddittorio, eventualmente differito, e alla prova contraria.
Sono state anche introdotte apposite norme finalizzate a scongiurare la “vittimizzazione secondaria”, intendendosi per tale quella che non si manifesta direttamente, bensì indirettamente in via mediata attraverso la risposta di giudici e istituzioni alla vittima: no alla contemporanea presenza delle parti in udienza, divieto di invito alla mediazione familiare, se inserita in struttura protetta l’indirizzo della vittima è mantenuto segreto e sono nominati, quali ausiliari del giudice, esperti in materia di violenza domestica e/o di genere, ascolto del minore da parte di questi o del giudice curando di evitare ogni contatto con l’autore degli abusi.
Le forme di tutela che all’esito il Giudice può adottare non hanno contenuto tipizzato, ma ispirato al criterio della proporzionalità tra l’offesa che si dice ricevuta e la misura che viene adottata.
A titolo esemplificativo, tuttavia, si è rinvenuta l’applicazione dell’inibitoria, ossia l’ordine di cessare la condotta o di eliminarne gli effetti, dell’allontanamento dalla casa familiare, dell’ordine di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla/e vittima/e, l’intervento dei servizi sociali e/o delle associazioni a tutela delle vittime di violenza, del pagamento di un assegno mensile, anche previe indagini di polizia tributaria, per coloro che per effetto dell’adozione della misura rimangano privi di mezzi adeguati di sussistenza.