I DIRITTI DEL CONIUGE SEPARATO SULLA CASA CONIUGALE IN CASO DI DECESSO DELL’ALTRO CONIUGE
21/04/2024LA DURATA DELL’ASSEGNO DI DIVORZIO
28/04/2024Che relazione intercorre tra i redditi percepiti e non dichiarati al fisco e i contributi da erogarsi per il mantenimento dei membri della famiglia in disgregazione, nello specifico a favore dell’eventuale “coniuge debole” (nel senso di più debole economicamente) e dei figli minori? Le dichiarazioni dei redditi prodotte in causa rivestono valore di prova piena ed esaustiva dei redditi che risultano dichiarati? Come si giunge all’accertamento concreto di eventuali entrate non dichiarate dalle parti?
Ciò che i coniugi percepiscono “in nero” può e deve essere considerato ai fini della valutazione del contributo da corrispondersi a favore dell’altro coniuge e per il mantenimento della prole non autosufficiente.
Secondo il più recente orientamento della Corte di Cassazione (n. 11504/2017 in sede di divorzio e le più recenti n. 6103/2022 e n. 22616/2022) nella determinazione di tali assegni assumono rilievo anche i redditi che sono stati occultati al fisco.
Gli Ermellini hanno chiarito che per la liquidazione di entrambi i contributi, per il coniuge debole e per i figli, occorre il previo accertamento del tenore di vita mantenuto dalla famiglia in corso di convivenza, a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute, poiché a tal fine assumono rilievo anche i redditi occultati o presumibilmente evasi.
Stessa rilevanza per le quote societarie, che vanno incluse nel computo dei redditi, tenuto conto che l’accertamento del giudice mira a quantificare le somme effettivamente in disponibilità delle parti.
Se ne desume che le dichiarazioni dei redditi hanno valore soltanto indiziario nella determinazione dell’assegno di mantenimento e funzione tipicamente fiscale, per cui, nelle controversie relative a rapporti estranei al sistema tributario, non sono vincolanti per il giudice, che nella sua valutazione discrezionale può fondare il proprio convincimento su altre presunzioni e risultanze probatorie (v. Cass. Civ. n. 769/2018).
Per provvedere all’accertamento delle eventuali entrate non dichiarate l’ordinamento prevede strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria.
La recente l. di riforma “Cartabia” entrata in vigore il 28-2-2023 ha previsto la possibilità del giudice di ricorrere a tali poteri svincolandola dalle domande ed eccezioni svolte dalle parti nei propri atti e rendendola di portata generale e del tutto ufficiosa, nonché ampliato l’obbligo di documentazione delle sostanze economico-patrimoniali in capo alle parti, istituendo una sorta di “disclosure” sulla scorta del modello anglosassone.
Prima di tale riforma, infatti, era previsto che solo a fronte di risultanze fiscali ritenute incomplete o inattendibili e a seguito delle deduzioni in tal senso delle parti il giudice avesse la possibilità di fare ricorso, anche d’ufficio, a tale mezzo di ricerca della prova sulla consistenza delle sostanze dei contendenti.
E ciò poiché l’occultamento eventuale di risorse economiche rendeva per definizione estremamente difficile la dimostrazione della realtà delle stesse in base alle regole dell’ordinario riparto dell’onere della prova, rischiando di ledere il diritto ad una corretta quantificazione di tali assegni in capo all’interessato.
Occorreva cioè che fossero stati dedotti fatti concreti, in grado di mettere in discussione la rappresentazione della parte avversa in giudizio in ordine alle condizioni di vita delle parti, senza arrivare a dover dimostrare effettivamente la maggiore entità delle consistenze reddituali della controparte e l’incidenza delle stesse sul tenore di vita familiare. In tal caso, in deroga alle regole generali sul riparto dell’onere della prova, il giudice non solo poteva, ma doveva disporre indagini della polizia tributaria.
Con la nuova legge di riforma è stato previsto, tramite l’introduzione dell’art. 473 bis n. 12 c.p.c. che innova quanto all’onere di documentazione da obbligatoriamente allegare al ricorso introduttivo in sede di separazione giudiziale (prima limitata alle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni), un onere generale di divulgazione delle proprie sostanze in capo alla parte ricorrente e, successivamente, alla parte resistente.
Come previsto dal nuovo art. 473-bis.48 c.p.c. che si applica unitariamente ai “procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché modifica delle relative condizioni”, ai sensi del terzo comma dell’articolo 473-bis. 12 c.p.c. ora sono da allegarsi altresì oltre a: a) le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, anche “b) la documentazione attestante la titolarità di beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali; c) gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni”.
Contestualmente è entrato in vigore anche l’art. 473-bis.2 c.p.c., rubricato “Poteri del giudice”, il quale dispone che ”con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può d’ufficio ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti dei terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria”.
Si rileva quindi che – con decorrenza dal 28-2-23 quindi con applicazione nelle cause avviate dal primo marzo 2023 – l’attivazione di tale ultima indagine non è più subordinata alla preventiva contestazione – da parte di almeno una delle due parti in giudizio – circa l’effettiva posizione reddituale e patrimoniale dei singoli coniugi o di entrambi, ma è “aperta” alla discrezionalità del Giudice in tutti gli ambiti processuali di natura civilistica riferiti a vicende che coinvolgono persone, minorenni e famiglie.